lunedì 18 gennaio 2010

La consapevolezza dei propri limiti

Ero bravino, una decina d'anni fa, nell'esercitare il giuoco del calcio. La convinzione di questa supposizione, non mi ha mai abbandonato, anche in questi lunghi anni di astinenza dai campi polverosi. Ieri c'è stato 'Il Ritorno', in grande stile, manco a dirlo. Ho scelto la serata ideale per una partita di pallone, -12°, vento gelido e candelotti di ghiaccio che pendevano dalle traverse, limitando la porzione di porta libera  a 10 cmq. Quello che non mi mancava era l'abbigliamento consono: maglia di flanella della Pro Patria '86, kway dell'Alpitour con cammello stilizzato sulla schiena, calzettone ascellare a ricoprire una calzamaglia da ballerina del Bolshoi. I miei gradi di libertà di movimento erano minori di quelli di un omino del calcetto. La prima sorpresa consiste nel fondo del terreno: il terriccio misto a pietre e fondi di bottiglia tipico degli anni '90 è stato sostituito da un meraviglioso manto sintetico, cancerogeno al 90%, ma non fermiamoci a questi dettagli! Comincio subito forte, tralasciando il dettaglio che l'ultima mia attività fisica di cui ho memoria è una partita a bowling quando c'era ancora l'euro. Dopo 5 minuti, sento iniziare un principio di autocombustione del polmone destro. Fingo indifferenza, nonostante il mio respiro sia affannoso tanto quanto quello di Galeazzi davanti ad una Amatriciana. In un lampo di lucidità provo una scucchiaiata da centrocampo, che finisce mestamente su un balcone del palazzo dietro la porta. La lucidità consisteva nel fatto che l'unico pallone a disposizione era ormai irrecuperabile, con notevole dispiacere dei 12 cadaveri in campo. Non contento, per festeggiare il mio ritorno all'attività agonistica, abbozzo una Capoeira (influenzata dall'ultima mia cena al ristorante brasiliano, poco caro tra l'altro), con conseguente distorsione alla caviglia, che ha ormai assunto la dimensione di un melone. Forse la prossima volta, se ci sarà, mi converrà tenere un profilo un filo più basso, ma poco eh..

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