martedì 1 novembre 2011

La giungla del mercato

Il rispetto che nutro nei confronti di coloro che si alzano alle 4 del mattino, per ‘farcire’ il furgone, macinare un centinaio di km, ‘svuotare’ il furgone, allestire un banco, vendere, smontare il banco, ‘ri-farcire’ il furgone, e ri-macinare un centinaio di km, è infinito.

Tanto per rendere l’idea, le poche volte che mi sono alzato, prima del sorgere del sole, ero talmente mal preso che ho fatto la pipì nella lavastoviglie. Non vi dico come sono venuti i piatti, quella volta.

Al di là di ciò, la vita dei detentori di un ‘Banco del mercato’ è durissima: non ci sono feste, né giorni di riposo, si lavora al gelo d’inverno e sotto la calura estiva, senza soste.

Bisogna però tenere presente che è altrettanto complesso se non delirante, recarsi al mercato come Cliente.

Il mercato è un luogo mistico, ha una dimensione a sé stante e la densità umana rasenta le soglie dei bassifondi di Nuova Delhi. Non so per quale motivo della fisica contemporanea, ma nel giorno settimanale dedicato al Mercato, nessun cittadino lavora, i bambini non vanno a scuola, i ladri non rubano in banca e i pensionati non guardano i lavori per strada. Il nostro PIL, vanto di un paese in salute, ringrazia.

La logistica di ciascun mercato impone due entrate principali, ognuna delle quali presidiata da almeno un personaggio che suona la fisarmonica, possiede un cane, sdraiato su una coperta, ed è privo di un arto. I suoi guadagni giornalieri superano di molto quelli di un operaio medio.

Proseguendo per il percorso, si possono notare numerose file parallele di banchi, che lasciano una via molto stretta per i passanti: è sufficiente l’incontro di due passeggini in direzioni opposte, per ricreare i tipici ingorghi del Grande Raccordo Anulare. Non importa la grandezza della piazza o il numero di banchi: la legge, non scritta, impone la vicinanza dei banchi in modo da mandare in completa confusione il povero passante di turno che, tra una padella antiaderente, una mano ‘raccoglipolvere’ e una borsa di ‘Grucci’, si ritrova ad acquistare un pollo ruspante vivo.

Infatti i mercati, solitamente, non sono divisi in zone per tipologie di articoli venduti.

Mentre sei intento a misurarti delle ‘Babbucce’ di tela himalayana, pregando di non appoggiare il piede sul cemento rovente o innevato, a seconda della stagione, vicino a te c’è qualcuno che compra metri di tende, di gusto opinabile, o si misura mutande XXXL.

I banchi di maggiore appeal sono quelli del cibo. Il più acclamato è di gran lunga il pollivendolo: centinaia di polli roteano su loro stessi, come lune di Giove, in attesa di abbronzarsi ed accasarsi nella casa di persone umili e affamate, che nel frattempo si tirano amorevoli gomitate per avanzare nella fila chilometrica. Salami, formaggi, stoccafissi e zuccheri filati librano i loro aromi, creando nausee repentine da secondo mese di gravidanza.

In questo tourbillon di emozioni, avanza inesorabile la ‘casta’ dei cinesi. Sono i primi ad arrivare e gli ultimi a sbaraccare, hanno una varietà di oggetti che farebbero invidia ad Harrod’s e i prezzi, manco a dirlo, sono irrisori.

Sulla qualità, cosa dire, posso usare il termine impeccabile? Lo posso veramente utilizzare? Assolutamente no. Mi sono azzardato a comprare un paio di auricolari, per la musica. Non che mi aspettassi un impianto della Bose, per carità, ma questo ronzio nelle orecchie, che manco nelle campagne pavesi, agli inizi di Luglio, un po’ disturba il suono. Sarò stato sicuramente sfortunato io, perché mi sembra gente veramente professionale.

Insomma, tirando le somme, il mercato è un luogo per gente di esperienza. Non bisogna porsi obiettivi di acquisto, ne usciresti sicuramente con un oggetto opposto al tuo bisogno. Ci si deve far trascinare dalla corrente ed andare d’istinto: io ne sono uscito con un paio di auricolari sibilanti, una gallina da combattimento e una stella di Natale.

Un buon bilancio, considerando che avevo bisogno di due paia di calze di spugna.