lunedì 6 dicembre 2010

Lunedì in casa Ratzinger

Mi aggiravo furtivo in Piazza S.Pietro quando, tra una foto a 'er cupolone' ed una alla turista gnocca di turno, ho notato che le luci della cameretta di Papa Ratzi erano accese. Già me lo immaginavo sul suo letto a castello della Foppapedretti, che ciondola i suoi piedini con le 'babbucce' rosse, che manco Briatore, nel periodo più fulgido, osava indossare. Mi sono chiesto cosa possa fare Sua Santità in un piovoso lunedi dicembrino. Ho subito scartato l'ipotesi 'calcetto con gli amici', dato che era in casa e che l'umidità della giornata poteva far riaffiorare la pubalgia contratta durante la Coppa delle Fiere del '68.

La seconda idea che mi è balenata per il cervello consisteva nella serata 'Kebab e Grande Fratello': passi per il Kebab, che potrebbe minare alla sua vita quanto una polmonite, ma Il GF proprio non era possibile; non tanto per i contenuti oltraggiosi, data la presenza di Alfonso Signorini, quanto al fatto che non ho visto alcuna pubblicità relativa al passaggio al Digitale Terrestre, per Città del Vaticano. E se mai passassero al DT, a maggior ragione, non si vedrebbe una beneamata mazza.

Andando avanti nelle mie illazioni, ho addirittura pensato che il lunedì di Benny fosse dedicato al corso di Latino Americano. Visto il suo Status Sociale, potrebbe benissimo permettersi un Garrison a domicilio che abbozza fondamenti di Bachata, al ritmo del nuovo pezzo di Shakira 'Loca'. Immaginandomi poi Ratzi con una camicia di seta nera, aperta su un petto villoso fasullo comprato all'Oviesse, e una rosa in bocca, ho capito che Il Prelatissimo è più tipo da danza Hip Hop.

Scartando per ovvi motivi le opzioni pizza con fidanzata, visione del Bluray 'Il diavolo veste Prada' e serata di Texas Hold'em con Milingo, mi rimanevo pochi margini di immaginazione.

In realtà mi sono anche immaginato Benny con le cuffie di Skype collegato online a giocare a Call of Duty, ma mi sembra di aver letto su Men Health, che preferisca i giochi tipo Civilization.

Insomma, io qualche ipotesi l'ho buttata giù e penso che siano più che credibili.

Poi magari lo scenario è molto più canonico: una camomilla, una pagina del libro 'Angeli e Demoni' e via nel lettone a baldacchino settecentesco. No dai non è possibile, secondo me almeno Garrison, da qualche parte c'è, me lo dovete concedere.

lunedì 22 novembre 2010

Agorafobia portami via


Quando una persona ha la sfiga di essere afflitta da una delle tante nevròsi, che la mente umana è in grado di partorire, si aprono due scenari possibili: o la persona in questione inizia a parlarne, oppure prova a risolverla. La prima casistica prevede l'atto di favellare delle proprie sventure, comodamenti sdraiati su un divano di pelle di canguro, con alle spalle un signore di mezza età, in costante stato di dormiveglia, stlie marmotta il 13 Dicembre. D'altra parte c'è la strada più difficile da percorrere, ovvero quella di sbattere la testa nelle proprie seghe mentali per cercare di sconfiggere questo autoerotismo svantaggioso (non avrei mai pensato, in vita mia, di potere accostare le ultime due parole).

In apertura di questa nuova eccitante sezione del blog, oggi parleremo di Agoràfobia, ovvero il timore di presenziare in luoghi pubblici affollati.

Una possibilità, per risolvere questa problematica da non sottovalutrare, consiste nel recarsi in discoteca. Proprio così, niente terapisti, agopuntura, tisane al guaranà, libri di Moccia: basta armarsi di 15 euro, una giacca di Zara e un cappello stile Jonathan del Grande Fratello, per non dare troppo nell'occhio in caso di attacco di panico. Conciàti in questo modo, ci si reca alla più vicina discoteca, la più affollata possibile; la balera delle feste dell'Unità non è nel range di sovraffollamento minimo, previsto da questo percorso terapeutico.

La prima difficoltà da affrontare sta nella coda all'ingresso: decine di giovani sovraeccitati si sfregano su di te, per passarti davanti, scatenando un principio di iperidrosi; in questa evenienza, posa le tue dolci spugnette, disegnate a forma di mano, sulle spalle di costoro, indicandando loro la fantomatica presenza di David Guetta, e passate davanti (autoconvinzione +10, totale -90).

Una volta arrivati al guardaroba, ricorda di infilare guanti, sciarpe, berretti nelle maniche del cappotto, sempre se all'uscita vuoi mantenere un equilibrio intestinale. Molto bene, siamo dentro e non ti muovi; provi a contrastare un flusso, che manco un salmone del Quebec saprebbe affrontare, ma sei sempre lì nel punto di partenza, solitamente nei pressi della latrina, dove la gente vuota le proprie visceri. In questa precisa situazione, inizia a mancarti il respiro, devi agire in fretta: ti devi girare nella direzione perpendicolare al bancone del bar e sussurrare alla persona di sesso opposto più vicina a te la seguente frase: 'Sei la ragazza/o più carina/o del locale, peccato questa mia piccola indisposizione, chiamata sifilide'. Tempo 30 secondi e ti si apre un varco della larghezza di una corsia autostradale, illuminata da led di varie colorazioni, che ti porta direttamente al bancone: ordini una coca-cola (che fingerai essere un cuba libre e pagherai in monete da 5 cent, per guadagnare tempo) e respiri profondo per 5 minuti (autoconvinzione + 50, totale -40). Dalla visuale del Bar puoi carpire le zone a maggiore densità, ovvero dove ballano le fighe; dalla parte opposta ci sono gruppetti di nerd vari: recati in mezzo a loro ed avrai spazio di movimento, nonchè possibilità di eccellere rispetto alla media di questa zona della pista (autoconvinzione +30, totale -10). Col passare del tempo, la gente inizia a diradarsi perchè una buona percentuale sta limonando e quindi tiene meno spazio; gli altri stanno vomitando nella latrina, precedentemente citata. il peggio è passato e addirittura puoi tentare di alzare le braccia nel tentativo di ballare (autoconvinzione +10, totale 0). Ora puoi recarti, con disinvoltura, al guardaroba, riprenderti i tuoi abiti e dire tra te e te: 'In effetti a casa si sta meglio, però, la prossima volta, un limonino ce lo potrei anche buttare'.



Per un corretto percorso terapeutico, è necessario consumare questa procedura per una volta a settimana, per la durata di un mese, ripetibile, scaribile dal Sistema sanitario nazionale.


sabato 6 novembre 2010

La solitudine degli esteti primi

Esteta, dal vangelo apocrifo secondo wikipedia, è colui che apprezza il bello, in ogni sua forma. Se, per esempio, un esteta vede un piccione perfetto in forma, dimensione, colore, nonostante sia la bestia più malata della Terra, potrebbe anche limonarselo. L'esteta non ha il potere della soggettività nel giudicare ciò che è bello e ciò che, invece, può provocare spasmi di diarrea acuta. Per lui/lei una qualsivoglia cosa è esteticamente piacevole in quanto essa è oggetivamente perfetta in simmetria, stile, proporzioni. Se vi è capitato di andare a Roma e di vedere una persona imbalsmata per quarantacinque minuti con lo sguardo puntato al Colosseo, beh di certo non stava aspettando l'autobus 452/ per andare a Torvaianica. L'estasi può cogliere l'esteta davanti al suddetto Colosseo, come davanti ad un cesso della Pozzi e Ginori, quindi se uno si vanta di avere questa qualità, potete senza ripensamenti, dargli del deficiente. Il problema dell'esteta, al di là del fatto che, avendo sempre lo sguardo puntato ad un oggetto, ha una maggiore probabilità di essere investito o di prendere dei pali nella faccia, è il rapporto con l'altro sesso. Soprattutto se la persona in questione ama il bello, ma tanto bello non è. Questo è il caso degli Esteti Primi, i quali pur avendo il viso di Malgioglio e il fisico di Maria Teresa Ruta (il minotauro, a confronto, potrebbe essere Miss Italia nel mondo), riescono ad innamorarsi solo delle 'strafighe'. Lo stesso discorso vale per il lato femminile: donne con i lineamenti simili ai pupazzi gonfiati ad elio che salutano all'ingresso delle fiere, sbavano solo su affini di Gabriel Garko.

Gli Esteti primi, per non andare incontro ad una vita di solitudine, devono impegnarsi in un difficile adattamento darwiniano. Così come secoli e secoli fa le giraffe dovettero allungare il proprio collo per raggiungere le foglie sugli alberi più alti, gli esteti primi dovranno allungare le mani su esseri umani, che minano i loro principi di beltà. Ed è cos' che un giorno, sperando prima che il Sole ci bruci tutti o le acque invadano i nostri garage, adibiti ad appartamento, due Esteti primi si incontreranno e non si respingeranno l'un l'altro come due elettroni. Esprimeranno semplicemente il loro disprezzo estetico reciproco e passeranno le domeniche, tra una mostra di Chagall e una presentazione di un libro di Aldo Busi. L'alternativa consiste nel sentiemento di Pietas delle strafighe/i oppure nella speranza che esse/si confondano il significato di Estetica con Estetista e non importi loro più di tanto, avere una relazione con un cassonetto della rumenta, provvisto di cuore e cervello.

domenica 17 ottobre 2010

Cotto e smangiato

Capisco che essere moglie di Fabio Caressa, che in intimità è solito chiamarti Dinho e una volta espletati i bisogni mattutini urla per 4 volte 'Campioni del mondo', non sia un ruolo facile da interpretare. Questo però non giustifica Benedetta Parodi nell'aver ideato e messo in produzione un programma televisivo come 'Cotto e mangiato', dopo opportuna pubblicazione dell'omonimo libro. Ora, passi la stesura di cotanto manoscritto, visto gli stimati autori che oggi riescono a sfornare opere di inaudita profondità, tipo Licia Colò e Nicola Legrottaglie. Il programma no, o meglio non così. Se vuoi fare un programma di cucina in cui mostri di sapere spadellare, innanzitutto ti devi calare nel contesto. Non dico che la Parodi si debba conciare come Suor Germana, ossia casta, velo in testa per non impastare capelli e citazioni bibliche ogni tre secondi. D'altra parte non può neanche presentarsi in Tv, all'ora di pranzo, con certi decoltè che, sinceramente, non penso aiutino a dar forma agli gnocchi alla romana. Sì, Benedetta è abituata così: nella sua umile cucina, fatta a studio televisivo, si destreggia in un comodo tailleur grigio fumo di londra, su cui si appoggia una collana di perle di Mars Alam. Ammicca alla telecamera quando sbatte le uova e monta la panna. Mai una scena in cui si vede operare a figura intera la cuoca provetta: faccia ammicante- mani-faccia-mani. A meno che non si tratti di spalmare la nutella sulle torte. Ipoteticamente, quei piatti potrebbero essere cucinati da Emilio Fede, fino a prova contraria. E per finire cosa fà? Una berlicata alle dita e il suo slogan che chiude la puntata. Quindi, da tutto ciò risulta che l'arte culinaria ha delle basi semplici, a cui tutti possono aspirare, risultando sempre gradevoli all'altrui vista. Falso. E ancora falso. Avete mai provato a cucinare un'orata in crosta di sale? Mi metto un attimo nei panni di Benedetta nella sua vita quotidiana (non è un tentativo di stalking). Si mette un abito con strascico di Armani, prende la Smart e va all'Ipercoop di Sesto San Giovanni, reparto pescheria. Alza il guanto bianco e ordina un'orata mentre il pescivendolo brama di raggiungere la pensione in quel medesimo istante di imbarazzo. Compra le spezie e ornamenti vari per poi strisciare la tessera Soci Coop Gold alla cassa. Rientra a casa, cogliendo il marito a cantare l'inno nazionale con Beppe Bergomi sul divano, e si dirige verso il suo regno dei fornelli. A quel punto ordina una pizza e per stasera va bene così. La cucina è passione, lotta, sofferenza, sugo sulle pareti, scottature da forno e intossicazioni alimentari. A spalmare la nutella in Tv è capace anche Barbara D'Urso.

martedì 14 settembre 2010

Mara Maionchi, modello di vita.

E' ormai assodata l'impossibilità, in un contesto sociale spietato come quello attuale, fare del proprio ideale di condotta morale un personaggio come Gandhi, Martin Luther King o il Barbapapà 'Barbottina'. O meglio si può fare, ma il risultato migliore che si può ottenere è suonare una cetra davanti ad una Conad, raccimolando qualche centesimo. E' per questo motivo che ho dovuto cercare un modello etico da emulare per sopravvivere in questa giugla, anche detta vita. Il casting è stato molto selettivo, portando alla finale a tre i seguenti personaggi: Antonio Cassano, SpongeBob e Mara Maionchi. Il primo, investito da un ormone femminile reale, non come quello decantato nei suoi libri, l'abbiamo perso definitivamente, ma lo tengo al fantacalcio. Sul secondo, in realtà, ci credevo molto: la sua demenza senile, con la quale affronta la vita marina, mi ha fatto pensare che sia la soluzione a tutti i mali; lo terrò buono quando la demenza senile mi verrà veramente. Ed è così che la mia scelta è ricaduta su Mara Maionchi, istrionica produttrice discografica, da qualche anno protagonista sul palcoscenico di X-Factor, in veste di giudice. Una delle caratteristiche più peculiari di Mara è il modo di fare critiche costruttive: infatti riesce spesso ad inanellare una riga di bestemmie che, qualora 'bippata', costituirebbe ancora una bestemmia. Altro che terzine di Cecco Angiolieri, qui il livello è molto più elevato. D'altro canto, quando deve complimentarsi, si trasforma in un amabile peluche con le sembianze di una mantide religiosa, esordendo con un 'Bene' e finendo con un 'Bene', con in mezzo niente. Come si fa a non amarla. Un ulteriore aspetto che mi ha colpito in Mara è la gestualità. Non stiamo a raccontarcela: oggi bisogna curare, oltre al modo di parlare e ai concetti espressi, anche la forma con cui ci si pone, movimenti corporei inclusi, per non mostrare insicurezza o qualsivoglia debolezza. A questo proposito, il galateo secondo Maionchi, suggerisce di piazzare, saltuarialmente, un bel gesto dell'ombrello seguito da una 'X' formata dalle braccia incrociate: insomma una balletto di Justin Timberlake. Ecco magari bisogna trovare i momenti giusti, tipo non quando sei solo ad un semaforo che aspetti il verde nè quando la tua morosa ti chiede quanto stia bene con la sua nuova capigliatura, che manco avevi notato. Bene, dopo aver imparato ad emulare concetti e gestualità della prescelta, non resta altro che curare il look. Ricerche consolidate e pubblicate sulla rivista 'Science' dimostrano che, chi indossa un completo color caki non potrà mai concludere niente di positivo. Questo è solo uno dei molti esempi di correlazione tra abbigliamento e fallimenti. Mara, col suo tocco di classe, degno di un pastore delle Far Oer, può abbinare degli occhiali a forma di cuore con una giacca a scacchi rossi e verdi. Già mi immagino a ripercorrere le orme della mia beniamina morale in una giornata lavorativa, presentandomi da un Cliente con occhiali a cuore, monologo con combo di bestemmie e gesto dell'ombrello come saluto finale. Ok, apparentemente potrebbe essere un atteggiamento un pò marcato, ma per certi lavori, secondo me, può rendere. Per il mio dovrò adottare qualche compromesso.


 

giovedì 2 settembre 2010

Mai farsi tendare

I miei amici sono cattivi, sono giunto a questa conclusione. Non avevo mai usato il verbo essere con due soggetti diversi nella stessa frase, spero 'La Crusca' me lo conceda e non mi faccia causa. Vabbè il fatto è semplice. Quando persone a te vicine spergiurano la possibilità tendente alla certezza di riuscire a incontrare ragazze disinibite e non a pagamento, facendo un minimo sacrificio, tu cosa fai? Accetti, perchè il patto di fiducia che ti lega a loro, saldo come un contratto di Ibrahimovic, prevede che non sarai mai messo in difficoltà o in situazioni che si discostano dalla tua indole. Ventiquattro ore dopo avere accettato la proposta, nel momento in cui un cane orinò (altro verbo mai usato) sul mio cuoio capelluto, capii che Ibrahimovic è uno zingaro, così come il suo contratto e il mio patto. L'occasione da non perdere consisteva in un festival canoro, per non dire rave, in una campagna sperduta, con notte in tenda annessa. La tenda sta a me come uno sguardo passionale sta a Marotta (il calciomercato sta influenzando il post). Passiamo ai fatti. Dopo aver scarpinato un paio di chilometri tra gente rovinata ed un purpuri di cocci di bottiglie e preservativi, capisco che l'infradito non è la calzatura adatta all'occasione. Coordino le attività di montaggio delle tende non conoscendo minimamente il concetto di picchetto e do fiducia all'azione della forza di gravità; tempo trenta secondi e ritrovo la mia dimora attaccata ad un pioppio. La mia brillante autocritica mi consiglia di lasciare fare tutto agli altri, pensare solo a sopravvivere e, perchè no, tentare di limonare. Mi dirigo così verso il palco principale, come un salmone che risale la corrente, sbattendo in fiere feroci locali, tali punkabbestia. Le combatto con l'uso dei congiuntivi e un sapone di marsiglia. Mi sistemo in un posto tranquillo, vicino ad una cassa che mi fa risuonare tutte le mie 206 ossa e in un tempo infinitesimo mi vengono offerte sostanze stupefacenti, un sorso di tavernello in una bottiglia di Barolo chinato, e una maglietta di Che Guevara. Rifiuto con cordialità e mi guardo in giro in cerca di ragazze disponibili, che non stiano cacciando l'anima. Sarebbe più facile trovare un Bibbia a casa di Lele Mora. Per questo motivo, muovendomi sinuoso al ritmo di una decina di bonghi, mi dirigo verso un ristoro culinario, rimediando un piatto di Cous Cous, caramente pagato in tarda notte. Sconfortati da un tale degrado, si decide di ritornare verso l'accampamento per cercare di riposare. Dovete sapere che il mio sacco a pelo si chiama 'Capri' , ha 5 anni ed è un po timido ma soprattutto resiste ad una temperatura di 20°. Sopra lo zero. Il freddo, un dormi-bene di acciao inox e dei cani ringhianti con una vescica debole, mi hanno tenuto compagnia per tutta la notte. Il mattino seguente, sono strisciato fino alla macchina, senza neanche estrarmi dal sacco a pelo: ho avuto alcune difficoltà con la frizione. Da quel momento non ho sentito più i miei amici, che tanto bonariamente mi avevano coinvolto in questa piacevole situazione. Non so come mai eh, sarà che loro chiamano e io non rispondo o sarà un problema di linea. Va bene, ora che è tutto passato, direi che posso uscire dal sacco a pelo e tornare alla vita quotidiana con ritrovato ottimismo e con una promemoria in più sul cellulare: basta tende.

venerdì 20 agosto 2010

Barche e badanti, pericoli costanti.

Fino a poco tempo fa, pensavo che il vizio più dispendioso da mantenere fosse la retribuzione di una badante russa o la gestione di un agriturismo a Voghera. In realtà, dopo una passeggiata sul molo di una cittadina rivierasca, ho capito che la situazione è ben diversa. Una moltitudine spropositata di gente, stava sul ciglio di questo molo, in preda ad isterie, al limite di un suicidio di massa, il tutto per eseguire atti di voyeurismo verso barche lussuose attraccate in loco. Io tranquillo, con la mia coppetta da 1,50 monogusto, mi sono avvicinato per vedere l'attrazione ed in effetti sono rimasto colpito da cotanto lusso, sotto forma di imbarcazione. Ponti in legno delle foreste del Quebec, divanetti in pelle di daino ovunque, televisori ultrapiatti di dimensioni imbarazzanti (alcuni addirittura accesi), moto d'acqua appese come se la forza di gravità non esistesse. Per non parlare dei proprietari, che sfilavano in fresche camicie di lino, gustando acini d'uva dei colli senesi, come fossero manichini in vetrina aumentando il livello di 'Pezzenza' del pubblico osservatore, me compreso. Visto cotanto sfarzo, sono andato ad informarmi sui prezzi di queste oasi paradisiache galleggianti. Era meglio se mi fossi comprato un'altra coppetta monogusto, dal nervoso che mi è salito. Fatto sta che, il prezzo basilare per un gozzo con un'elica della prestanza di una caravella, un volante da go-kart e una sedia in vimini, si aggira intorno all'equivalente di una villa settecentesca in Piazza Duomo. Mettiamo, per assurdo, di avere la disponibilità per questo acquisto, il problema si pone nel mantenimento di tale 'immobile mobile'. Infatti se non si vuole villeggiare in un porto a vita, ma si vuole sfruttare la barca come mezzo di locomozione, è necessario pensare al rifornimento di carburante. Per garantirsi 30 km di navigazione, la cifra da sborsare in gasolio si aggira intorno ai 3000 euro. Se solo mettessi tale quantitativo di carburante nel mio motorino, riuscirei a fare Savona-Shanghai andata e ritorno. Torniamo allora alla prima opzione: villeggiare in un porto e farsi rimirare dai turisti. C'è un piccolo problema economico anche in questo caso, ovvero il pagamento del posto barca. Infatti non è che si può lasciare la barca in doppia fila o nei posti riservati alle donne incinte, come siamo soliti fare con le macchine. Qui c'è un piccola quota giornaliera da pagare, una frivolezza che non vi sto neanche a palesare. Bene, dopo avere avuto un assaggio di questo lusso sfrenato, ho preso il motorino, ho fatto 5 euro di benzina e sono tornato a casa, pensando che la badante russa non verrà scalzata facilmetnte dai lussi abbordabili che mi potrò permettere.

venerdì 13 agosto 2010

Sopravvivere ad una sagra non è utopia

Una delle tante esperienze di vita da affrontare, per sentirsi realizzato pienamente, è partecipare ad una sagra.

Capisco che, emotivamente, può essere più estremo di lanciarsi col paracadute o fare bunjee jumping, ma è qui che si vede lo spessore di un uomo, inteso come essere umano.

Ecco un piccola serie di regole da seguire, per evitare spiacevoli sorprese:



1) Vuoi cenare entro mezzanotte e la sagra dista solo 2 km da casa tua?

Parti verso le 17 e trascinati con le tue gambe tra una macchina parcheggiata in un fosso e uno scooter abbandonato nel tuo portone. Se esiste un servizio navetta, sgomita con i vecchietti, ponendo particolare attenzione ai bastoni e ai girelli contundenti.


2)Giungi miracolosamente alla coda della cassa, fatta in bambù e ghisa fusa,come ti comporti?

Se hai una vita sociale e vai alla sagra con amici, affronta la coda in tre persone, due armati.

Ho visto gente che si è finta invalida per passare avanti e poi ballava la mazurka, sulle note di 'Gelato al cioccolato'.


3)Cosa scegli da mangiare?

Non puoi scegliere. Quando arrivi davanti alla cassa, non hai il tempo di guardare il menu stampato su un post-it giallo con le scritte in verde. La folla preme. La cosa importante è che non pronunci la parola polenta. La tua omeostasi potrebbe essere turbata e i cessi chimici sono uno dei mali del secolo.

Comunque il menu è sempre uguale: ravioli al ragù, spaghetti ai frutti di mare, frittelle,salsiccia, patatine fritte, tomini, totani fritti, budino.

Ah prima di andare alla sagra, preleva. A volte si paga più che in un ristorante a Porto Venere.


4)Come prelevare il cibo?

Sei uscito dalla cassa con 400 biglietti colorati e ti senti smarrito. Dividi i biglietti per colore e consegnali ai tuoi amici. Essi si incolonneranno nei vari distretti: primi, carne, pesce, bevande.

Se, mentre attendi in fila, senti un fastidio alla gamba, stai sereno: è solo un bambino che ti morde, in preda alle prime allucinazioni da fame.


5)Come non mangiare in piedi?

Matematicamente, anche se sei il primo di tutte le file, tutti i tavoli saranno già occupati da vecchietti, rimasti lì dalla sagra dell'anno prima.

Manda le ragazze del gruppo a scacciarli, con un po di pane secco.

Finalmente ti puoi sedere, ma non avrai lo spazio per muovere gli arti superiori, data la densità di persone superiore a quella del quartiere più popoloso di Shanghai. Quindi avvicina la testa al piatto e spera di non infilarti il coltello di plastica in un occhio.


6)Come trovare una via di fuga per il ritorno?

Per dissuadere la gente dal tuo senso di marcia, basterà urlare: "Di là regalano le ultime focaccette avanzate, corriamo!!!" e vai nella direzione opposta.

E' un comportamento scorretto, potresti fare delle vittime. Ma è necessario. Seguendo le stelle e con una bussola, hai la matematica certezza di perderti in un bosco e vivere coi lupi il resto della tua vita. Portati il navigatore. Sempre.


7) Come comportarsi nei balli di gruppo?

In ogni sagra che si rispetti, ad un certo punto l'orchestrina anni '70 presente, parte ad intonare i canonici salmi per invogliare la folla ai balli di gruppo. Per non essere trascinati dalla bagarre, qulora si sbagli un passo, bisogna mettersi dietro la coppia più in forma. La si individua facilmente: lui, sulla sessantina, camicia pezzata con canottiera sottostante, si asciuga la pelata con un fazzoletto, lei, pari età, gonna svolazzante, permanente color malva, zeppa in sughero di Iglesias. Ecco, mettendosi in prossimità di questi personaggi e copiando paro paro tutti i movimenti, hai la garanzia di sopravvivere in questa esperienza di danze sfrenate. Se sbagli anche un passo, la coppia suddetta ti insulta, matematicamente, con i peggiori sproloqui esistenti. Ma fa parte del gioco.




Bene, seguendo questi pochi passi, potrai goderti una fantastica serata.

Per sfamarti consiglio di comprare un kebab nonappena si ritorna alla civiltà, mentre per riacquistare le energie nervose spese, una settimana in psicoterapia potrebbe non bastare.

sabato 7 agosto 2010

Gettoni d'oro

Visto che ho completato con successo l'ultimo numero di "Io, Sudoko", impiegandoci solamente tre settimane e due esaurimenti nervosi, ho deciso di iscrivermi ad uno dei numerosi quiz televisivi. Le motivazioni, che spingono l'essere umano ad esporre la propria cultura alla pubblica umiliazione, sono molteplici. C'è chi va per sbavare su una letterina, schedina, scureggina, totòriina ed essi godono della mia stima. C'è chi partecipa per il proprio egocentrismo e quindi per poter poi scrivere su Facebook, durante la messa in onda della puntata, lo stato 'live from Reazione a Catena, stay tuned'. Rincarando poi la dose cliccando su Mi Piace (ecco non capisco quelli che scrivono qualcosa e poi si autopiacciono.. ma ne riparleremo). C'è infine chi si espone alla gogna mediatica per il vile denaro e poter finalmente tirare un pò giù la rata del mutuo e un paio di escort. Ecco, benissimo, mettiamo il caso che ci si metta il vestito della domenica e si vada ad uno di questi giochini. Mettiamo anche che, tra un suggerimento sbagliato al vicino di postazione, un paio di minacce e una bustarella di Ticket Restaurant al notaio, riesci ad arrivare alla sfida finale. Sei lì, davanti al Pino Insegno di turno, con la fronte perlata e le ascelle che sembrano il Delta del Pò, ti giochi tutti i jolly possibili, anche quelli portati da casa, e riesci a vincere ben 1200 euro in gettoni d'oro. Ed ecccoci al nocciolo della questione: che diavolo di forma monetaria è il gettone d'oro? Manco Orlando Bloom (nome d'arte spero, come fai a chiamarti Bloom e riuscire a rimorchiare con un nome così? Povero) ne 'I Pirati dei Caraibi' usava i gettoni d'oro per comprarsi una tagliata di Tonno da 'Gigi il Troione'. Quindi dopo due/cinque anni, mi arrivano questi 1200 euro in gettoni d'oro che, detassati, diventano 300. Cosa posso farci, dopo aver fatto una foto mentre li addento e averla pubblicata su Facebook con tanto di Tag? Potrei metterli nei carrelli dell'Ipercoop per staccarli dalle catene: la mia qualità della vita migliorerebbe esponenzialmente. Oppure potrei andarci a fare benzina al self service, fondendo un gettone su una banconota da 10 euro, per poi introdurla nell'infernale macchinetta. Si si funziona decisamente così: prendi un gettone d'oro, lo infili nel microonde con un po di gusti e, non appena fuso, lo spalmi su una banconota (consiglio quella da 500 euro), e il gettone fuso assume quel valore. Se così non fosse, mi sento autorizzato a prendere in ostaggio la fidanzata di Amadeus, facendomi rimborsare come meglio lei crede, del corrispondente valore dei miei amatissimi gettoni d'oro vinti.

giovedì 22 luglio 2010

Polpo Paul, mo' te magno

A due settimane dalla fine del Mondiale di Calcio, non riesco ancora a togliermi dalla mente come l'attenzione dei Media planetari (oltre a Studio Aperto, naturalmente) sia ricaduta su un polipo, in grado di pronosticare impeccabilmente alcune partite della rassegna iridata. Fino ad ora mi limitavo a pensare che un palinsesto televisivo che prevede Amadeus come conduttore di un Quiz di cultura, può benissimo dare spazio anche ad un ammasso di tentacoli, capace di ammucchiarsi in una teca di vetro con sopra una bandierina. Questa banale osservazione dava sollievo alle mie notti insonni, ma non bastava a soddisfare il mio Ego-Nonhounamazzadiproblemipeggiori, lato della personalità poco discusso dall'amico Freud, che di problemi ne aveva abbastanza. Quindi, parliamo della figura polipo nella mitologia contemporanea: essere demoniaco con testa molliccia e plurimi tentacoli contenenti calamai del 15-18, pronti ad incatramare il nemico di turno. Si accompagna bene con patate lesse, creando l'omonima Insalata. Fino a pochi anni fa l'uomo era solito catturarlo ed ucciderlo sbattendo la sua amabile capoccia contro appuntiti scogli, sbrindellandolo in ogniddove. Annoiato da ciò l'uomo si è concentrato a massacrare le proprie fidanzate, ree di avere interrotto un idilliaco rapporto d'amore, non appena prenotato il traghetto per la Corsica, rovinando le ferie estive. A questo proposito, se sull'intelligenza dell'uomo si nutrono ancora seri dubbi, su quella del polpo, proprio no. Nel senso che non c'è parvenza di essa. Eppure Paul, polpo di origine italica (figuriamoci se ci facevamo scappare una particina anche in questa esaltante storia) e residente in un acquario teutonico, non sbagliava un pronostico. Coincidenze? Macchè: Ustica è stata una coincidenza sfortunata, così come l'autocombustione dei trans amici di Marrazzo. Paul aveva una dote speciale e meritava di essere celebrato, in questa società dove la meritocrazia vige sovrana. Questa storia, come tutte le più belle, nasconde anche un lato noir. Infatti oltre alle antipatie degli altri pesci dell'acquario, che durante il mese del mondiali sono deceduti in percentuali imbarazzanti, dato che nessuno se li filava di striscio, personaggi molto più aggueriti minavano la salute del tentacolo più famoso al mondo. Questi erano rappresentati dalle società di scommesse, che vedevano un picco delle uscite, dato che la mente umana si spingeva ad ipotecare la casa pur di seguire i pareri dell'illustre polpo. Ed è per questo che si raccontano di minaccie psicologiche, portate dai rappresentanti di queste società, che si presentavano all'acquario dove risiedeva Paul, con baffi e capelli finti, facendo gesti del tipo: Ti sgozzo se non la pianti. Il Polpo naturalmente non capiva un cazzo e continuava a cibarsi buttando il proprio groppone in una delle due teche. Fatto sta che il Mondiale è finito come tutti sappiamo ed è già qualche giorno che Studio Aperto si è tornato a concentrare sulle donnine desnude sulle spiagge, pittosto che del caro amico Paul. Vuoi vedere che qualcuno lo ha sminuzzato riponendolo su due piatti, ciascuno con due bandierine, per dimostrare che le coincidenze non esistono, ma esiste solo la fame chimica?

martedì 6 luglio 2010

Questa casa non è un albergo

Amici cari tutti, dovete sapere che un altro passo verso il declino della società moderna è stato mosso in modo silenzioso, ma quantomai infido. Infatti, ultimamente, sono venuto a conoscenza dell'esistenza di Corsi di Formazione per avviare l'attività di Bed & Breakfast. Tali corsi non hanno limite di età dei partecipanti, non ci sono barriere geografiche nè metrature minime su cui allestire l'attività. In poche parole, se una coppia di 60enni vuole organizzare un B&B presso il proprio bilocale da 40 mq, ubicato in una frazione di S.Donato Milanese, beh nessuna legge marziale glielo impedisce. Siamo bravi tutti ad associarci all'immaginario collettivo, che vede tutti i B&B piazzati su una collina senese a rimirare vigneti al tramonto estivo. Non è sempre così, purtroppo. Come ho scoperto questa realtà alternativa? Facile, ci sono finito. Durante una ridente trasferta lavorativa nell'hinterland milanese, ho messo l'indirizzo del mio prestante albergo sul Tom Tom, immaginandomi l'Hilton di turno in Via Montenapoleone. Qualche dubbio mi ha assalito, quando la destinazione raggiunta è stata una palazzina di tre piani anni '60, che si affacciava su una piazza di cemento, temperatura al suolo 58°C. Stranamente, e ci speravo di cuore, il navigatore quella volta non sbagliò. Citofono con scarso ottimismo all'indirizzo indicatomi, non ricevendo risposta. Forse mi è andata bene e posso passare la notte sotto un ponte ma dopo una decina di minuti, passati a fare cerchi sul cemento col trolley sperando di essere rapito dagli alieni, mi telefona la Signora del B&B, invitandomi a salire e scusandosi un milione di volte del disuguido. Vengo accolto, col mio fido collega, da una ghirlanda di fiori finti, un crodino e fiumi di convenevoli. Dopo aver compilato una decina di migliaia di fogli, che manco all'esame di stato per diventare Notaio, veniamo accompagnati nella stanza dei pargoli: due lettini, due scrivanie, un televisore 12'', la morte nel cuore. Di fronte alla nostra camera, quella dei nostri nuovi genitori: insomma come rivivere una seconda pubertà. Nonostante la tattica di stare il meno possibile in quel gulag, il coprifuoco era fissato alla mezzanotte con annesso interrogatorio di fine giornata in cui si doveva esplicitare nell'ordine: ora di sveglia, ora utilizzo bagno, ora colazione, tipologia brioche del mulino bianco, codice fiscale e libro preferito. Non era ammesso saltare la fase di colazione: al training (tenuto da SS in pensione, immagino) era stato spiegato ai coniugi che avevano l'obbligo di rifoccilare i Clienti, pena declassamento a Bungalow. E così, anche quando ci alzavamo con i topi in bocca perchè la sera prima avevamo magiato otto portate pur di ritardare il rientro, un saccottino e due macine non ce le levava nessuno. Confesso di aver ceduto al terzo giorno, lanciando l'ennesimo taraluccio dalla finestra, nel mometo in cui la vecchina era distratta da un articolo di Donna Moderna, su come cucinare il Caciucco alla livornese. Passavano i giorni e la routine si ripeteva per definizione: citofonata con indicazione del piano a cui salire (fino all'ultimo giorno), ghirlanda e aperitivo, chiacchierata monolaterale di due ore (la credenza era più attenta di me), interrogatorio finale. Col tempo siamo riusciti ad affinare alcune tecniche per ridurre le fasi sopracitate: la migliore è consistita nel fingere la doppia personalità del mio collega che si trasformava in un contadino della Pampas con accento spagnoleggiante, con punte di savonese; a quel punto chiedevo un pò di privacy per far passare questo momento di debolezza e ci ritiravamo in camera prima del dovuto. Il giorno dopo ci ha presentato il suo medico della mutua. A quel punto abbiamo fatto le valigie e ce ne siamo andati ringraziando dell'attenzione posta nei nostri confronti e lasciando sul 'diario dei viaggiatori' un simpatico arrivederci (vi lascio immaginare). Cercate di capirmi, abituato da un pò di tempo ad arrivare in albergo, lanciare i vestiti, accendere tutte le luci, phon e televisioni, ma soprattutto ad avere un pò di silenzio, dopo tutte le urla giornaliere ricevute, questa setttimana è stata un pò un trauma. Va già bene che la settimana dopo non mi hanno prenotato sempre lo stesso B&B... no no..


 

lunedì 31 maggio 2010

Sono un eroe

Quante volte, ognuno di noi ha sognato di essere considerato un eroe interplanetario? Ok, probabilmente solo io e ciò dovrebbe farmi pensare. Non sono un tipo egocentrico e la mia autostima rasenta quella di un tassista nel deserto, però ogni tanto mi chiedo come potrebbe essere canalizzata l'attenzione dell'universo mediatico su un mio gesto di nobile origine.

Si perchè sarebbe troppo facile essere sulle prime pagine dei giornali, fingendomi Premier o frodando il fisco o avendo contatti con la mafia (in questo caso si può sostituire l'operatore booleano 'o' con il suo complementare 'e').

Insomma, devo essere protagonista di un evento straordinariamente positivo, come vincere un Oro olimpico in rutti o bere con una cannuccia tutto il petrolio riversato nell'oceano Atlantico o gurdare fino alla fine il film 'Alex, l'ariete'.

Sono imprese tanto importanti, quanto difficili da compiere, ma ciò non toglie che mi debba trovare pronto qualora le dovessi realizzare.

L'altro giorno, simulando una chiamata all'ultimo minuto di Marcello Lippi per il mondiale sudafricano, ho preparato, davanti allo specchio, un'intervista strappalacrime in cui facevo riferimenti ungarettiani per palesare la mia devozione alla patria. Sono stato interrotto dalla chiamata di mia madre al 118.

Non contento, il giorno dopo, sollevavo in soggiorno una bottiglia di Montenegro, con in sottofondo Caressa che urlava: 'Alzala al cielo, capitanoooooo'. Seconda chiamata al 118.

Un processo di metempsicosi simile mi capita quando guardo film sullo stile di Armageddon, impersonando il protagonista che salva il pianeta da estinzione sicura, con l'utilizzo di un righello, un Marshmallow ed un ticket restaurant da 7,50 euro.

Mi immagino un ritorno, sulla terra ferma, con l'esultanza alla Luca Toni, in faccia al Presidente Obama.

Ridendo e scherzando, oggi ho compiuto il vero gesto che mi ha consacrato alla ribalta del palcoscenico internazionale: ho compilato il modello 730.



Ecco il tributo conferitomi:



en.tackfilm.se/

venerdì 7 maggio 2010

Nouvelle Cuisine

Stasera parte la denuncia, ve lo dico, stasera parte. Riassumo con ordine i fatti, cercando di rimanere il più lucido possibile. A pranzo mi sono ridotto a mangiare alla mensa dell'ospedale che, nelle categorie delle mense, supera di poco quella del carcere di Bogotà. Il motivo, per cui mi sono spinto a questo atto di masochismo, non lo saprei manco dire (cit. Pezzali). Forse è stato per tenere fede al detto 'Mensa in corpore sa" o, più probabilmente, stavo seguendo, come un qualsiasi stalker, due infermiere che si dirigevano in quella direzione. Fatto sta che, in pochi minuti, mi sono ritrovato con un vassoio di plastica in mano con sopra un pezzo di gazzetta degli anni '90, che mi faceva da tovaglietta. La mia scelta è ricaduta su uno sformato di patate, dal peso specifico dell'uranio impoverito e un omogeneizzato alla frutta, che mi ha riportato al periodo dello svezzamento. Avvilito da cotanta miseria e dal picche clamoroso giratomi in faccia dalle infermiere, mi riprometto di vendicarmi a cena, almeno dal punto di vista culinario. Scelgo così un ristorantino abbastanza appartato e molto ben curato negli arredi. Incurante della proporzionalità inversa tra bellezza della location e quantità di cibo, regola non scritta della ristorazione italiana, mi siedo ed ordino un menù degustazione, composto da antipasto, primo, secondo e dolce. Ingannato dalla quantità di portate mi accorgo, solo all'arrivo dell'antipasto, di avere completatmente ignorato il termine 'Degustazione'. Per carità, la presentazione dei salumi seguiva tutte le leggi di Newton, ciò non toglie che le fette erano tre. Tra primo e secondo, in piena crisi di energie mentali e fisiche, penso di aver visto, all'interno di un'allucinazione, Bigazzi e la Clerici che mi infondevano coraggio, come ad un ciclista sul passo Gavia (non escludo che i sopra citati personaggi fossero reali e, in aggiunta, i proprietari del locale). Dopo essermi ridotto a fare scarpetta col baffo di aceto balsmico che guarniva i miei due bocconcini di manzo, ho fatto desistere, con uno sguardo pieno di risentimento, il cameriere dal togliermi l'ultimo tozzo di pane, prima dell'arrivo del dolce. Dolce che consisteva in una degustazione di finezze al cioccolato. Buone, per carità, ma avrei trovato maggiore estasi culinaria con una Fiesta. Pago ed ed esco in modo signorile, salutando anche la Clerici. Girato l'angolo mi infilo da un kebbabaro per rinvigorire il mio metabolismo, spossato da una giornata sfortunata.  Ma è possibile che un ristorante, che esercita la Nuovelle cuisine, non sia obbligato a mettere un avviso o un segnale di pericolo triangolare per poveri sventurati come me? Penso che l'ira e la violenza, che circodano la società moderna, nascano anche da queste cose.

mercoledì 28 aprile 2010

Antropologia spicciola

Ripassate mentalmente la melodia della canzone ‘Volevo un gatto nero’, di Zecchino d’Oro memoria, e sostituite il ritornello con queste parole:


 


“Volevo un figlio emo, emo, emo me l’hanno dato punkabbestia e io non gioco più…”


 


Tanto per dire, l’argomento che più stuzzica il mio ozio serale negli ultimi giorni è l’ereditarietà del genotipo ‘appartenere ad un fenomeno sociale, perché se non lo fai sei out e se lo fai ci stai dentro di brutto’.


Mi spiego meglio. C’è una relazione tra genitori, in termini di tipologia di educazione impartita, e figli, intesi come esseri appartenenti ad una casta sociale, vedi emo, punkabbestia, fashion victim e compagnia danzante?


Secondo il mio modesto parere, che vale sempre più di quello di un qualsiasi direttore di Riza Psicosomatica, la relazione esiste.


Prendiamo, per esempio, una coppia di genitori che occupano posizioni lavorative dirigenziali e che, di conseguenza, possono permettere di lasciare il compito di formare e soddisfare il fabbisogno affettivo del proprio figlio, osservato via skype una volta a settimana, ad una Colf venezuelana, pagata in Pina Colada.


Bene, tale ragazzo, non potrà fare a meno di ricadere nella casta dei punkabbestia: più precisamente quelli che si versano in testa una lega di miele e silicone, per farsi i rasta e che si comprano un cane di razza per poi tingergli il pelo di un colore tendente al ruggine, per farlo sembrare ‘malandato’, fino a quando due giorni prima mangiava branzino in crosta di sale.


D’altra parte, genitori più presenti e apprensivi possono dare sfogo alla voglia di un figlio di far parte della classe degli Emo, per manifestare l’angoscia della vita, manco fossero i figli di Baudelaire.


E anche in questo caso, inizia la metamorfosi della specie, partendo dalla crescita della frangia, di colore asfalto stradale prima gettata, proseguendo con un fine trucco corvino intorno agli occhi, degno di un panda, e concludendo con un abbigliamento che prevede almeno 3 chili di borchie.


Questi due esempi estremi, fanno capire come la scelta di appartenenza di classe di un adolescente vada in opposizione ai valori familiari indotti.


Non segue questa linea l’ultima casistica presa in considerazione, ovvero quella dei ‘Fashion victim’.


Avete presente quelle mamme che vestono i loro figli di due mesi, che si afflosciano sulla loro ancora spugnosa spina dorsale come i pupazzi gonfiabili all’ingresso delle fiere, con una polo di Fred Perry e un pantalone zebrato di Cavalli? Ecco, quegli stessi figli, a dieci anni, non usciranno di case se non abbigliati con almeno 1200 euro di griffe addosso.


 


In conclusione, i genitori devono tenere presente che, in qualsiasi modo educhino i propri figli, non potranno evitare loro di diventare, si spera temporaneamente, dei disadattati sociali.

venerdì 16 aprile 2010

Evviva il Treddì

Ogni persona, chi più chi meno, riserva nel proprio know-how (volevo piazzare questo termine da qualche parte), un oggetto da 'shopping convulsivo': chi si compra 800 paia di scarpe, per trattarle come figlie dando loro anche una paghetta settimanale, chi, invece, colleziona monete etrusche, che non si possono manco riutilizzare per rubare un carrello dell'ipercoop. Insomma, ognuno di noi ha una croce che va a depennare il 70% del proprio stipendio. A me piacciono i televisori. Per giustificare l'acquisto di uno schermo nuovo, di dimensioni apocalittiche, mi sono dovuto comprare casa.

Fatto sta che mi sono messo a cercare il modello perfetto, valutando anche i televisori di ultimissima generazione 3D Ready. Già mi immaginavo nel mio salotto di 5 metri quadri, illuminati da uno schermo da 80 pollici, irradiante 'La prova del cuoco' in 3D.

Il mio entusiasmo è scemato pochi minuti fa quando ho scoperto questo www.samsung.com/au/tv/warning.html



Praticamente per godere l'ottimale visione di un produzione tridimensionale su Tv di ultima generazione non devi:

-essere un bambino

-essere un vecchio

-essere incinta

-essere ubriaco

-soffrire di mal di testa

-essere stanco



Inoltre il televisore non deve essere posizionato vicino a balconi o finestre, perchè, dopo aver visto 3 minuti di Annozero in 3d (ma anche versione classica), potresti avere giramenti di testa tali, da catapultarti in strada dal quinto piano.

Quindi, ricapitolando, vendi la prostata per pagare cinquemila euro di televisore che, per salvaguardare la tua e l'altrui salute, deve rimanere spento, a meno che tu non sia un uomo di mezza età, solo, astemio e mai stanco.

A questo punto sono curioso di conoscere gli argomenti che sfrutteranno i geni del marketing, per invogliare all'acquisto: "Vuoi smettere di bere? Molla gli alcolisti anonimi e comprati un televisore 3D!"; "Vuoi tenere lontani i tuoi figli, la moglie gravida e i suoceri, durante la finale di Champions? Compra un televisore 3D!".

Temo che sarà un successo.

giovedì 8 aprile 2010

Qaly

Quando sento parlare di Economia, inizio a sentirmi a disagio. Non sono molto ferrato sull’argomento, tanto che quando mi hanno consigliato di sfruttare i Bot, sono andato da Trony ed ho comprato un robot da cucina, utilizzato solo per miscelare maionese e ketchup per creare una salsa rosa da far invidia a quella della Lidl.

In realtà, un argomento, inerente all’economia sanitaria, per cui provo interesse è rappresentato dal concetto di QALY.

In ogni scuola Radio Elettra che si rispetti (ovvero nessuna), viene spiegato che il Qaly è l’unità di misura che combina la qualità della vita con la durata della stessa. Se assume un valore pari a zero, vuol dire che sei giunto in un posto migliore. Se ottieni un valore negativo, stai guardando un programma di Enrico Papi.

Una delle molteplici variabili, che vanno ad influenzare questa grandezza, è il proprio reddito.

Le persone, che godono di buone entrate economiche, possono garantirsi agi, che vanno a contribuire favorevolmente sulla qualità della vita che conducono. Se, però, il livello di ricchezza supera una determinata soglia, si rischia che gli agi sopracitati diventino vizi, come alcool, droghe, transessuali.

Ogni riferimento a Lapo Elkann è puramente casuale.

Perché a volte un moderato uso di alcool o droghe leggere (i trans direi di no), può portare ad un aumento provvisorio del proprio Qaly, che va a scendere nuovamente una volta terminato l’effetto.

Praticamente è come quando ti ferma la polizia, togliendoti 12 punti, dopo che hai festeggiato a suon di negroni (il cocktail, per intenderci) l’aumento di 2 punti sulla patente, per lo scalo di anzianità.

Un'altra variabile da tenere presente è l’istruzione: avendo una cultura medio-alta ci si può garantire una auto-diagnosi preventiva, che salvaguarda la nostra salute.

Chi, per esempio, pensa che il pancreas sia una particolare tipologia del plumcake del Mulino Bianco, non avrà vita facilissima. Ma d’altra parte, anche chi conosce il nome di tutte le 206 ossa umane, sarà più incline ad auto-diagnosticarsi una malattia laddove, realmente, non c’è, cadendo nella più banale ipocondria.

Ultimamente, alcuni studi hanno portato alla luce la possibilità di portare l’aspettativa di vita sopra la soglia dei 120 anni. La domanda da farsi è la seguente: con quale qualità di vita?

No, perché se devo arrivare a quell’età con le funzioni vitali di un muro in cartongesso, potrei anche telefonare a Lapo per farmi dare due dritte per l’immediato futuro.



martedì 30 marzo 2010

Bagno turco

L’argomento non è tra i più aulici, ma non ci si può esimere dal ‘favellare’ su uno dei peggiori mali del secolo: i cessi alla turca.

Allora ditemi subito se erro nel prendermela con questi strumenti architettati dal diavolo. Se è così, la smetto eh. Ok, non è così, vado avanti. L’essere umano, per sua natura, è oggettivamente incompatibile con i cessi alla turca, in termini di bisogni solidi (più fine di così mette male). La variabile più importante da tenere in considerazione, in questi casi, è ‘l’angolo di tiro’.

Mi spiego meglio: entri in uno di questi bagni, caratteristicamente 3x2 metri, manco quadri; una terra senza leggi. Ti approcci all’atto, assumendo una posizione parallela al suolo con le gambe che assumono un’angolazione di 37°, rispetto alla rotazione terrestre in fasatura col meridiano di Greenwich. Dopo tre secondi in questa posizione, durante i quali l’input dal cervello è arrivato solo alla prima vertebra cervicale (di strada ce n’è ancora troppa), il livello di acido lattico nei tuoi quadricipiti ha assunto valori simili a quelli di un jamaicano all’ultimo metro di una 50 km di sci di fondo. Provi a sfruttare un effetto ventosa, incastrando le braccia nelle pareti laterali, assicurandoti le peggiori malattie e, se hai le mani spugnose, qualche numero di telefono di persone di facili costumi (questo solo negli autogrill, dove la percentuale di cessi alla turca è di 1:1).

I più fortunati arrivano in fondo a questa impresa titanica, in crisi di sali minerali, tanto da dovere ricorrere ad una scorta da due litri di gatorade, da tenere sempre in macchina per queste occasioni.

Quelli meno fortunati, beh, vi lascio intuire.

Quindi, tirando le somme, una persona si deve adoperare ad una preparazione fisica degna di un mezzofondista, non tanto per stare bene con se stesso o tirare giù qualche chilo, ma per mantenere un decoro morale in determinate scomode situazioni.

E poi, non stiamo a raccontarcela, la comodità di stare seduti in un momento così delicato, leggendosi un catalogo dell’ikea o cercando di superare il record di un miliardo di punti sul giochino del cellulare, non ha prezzo.

Ma un Referendum per abolire questa machiavellica pratica primitiva? Ci abbiamo messo meno ad eliminare le centrali nucleari, forse. Tanto, abbiamo votato da poco per ‘cagate’ non di maggiore importanza e che, sicuramente, non ci cambieranno la vita più di quanto lo farebbe una tazza del cesso nel posto e al momento giusto. Anzi.

domenica 14 marzo 2010

Il giorno del Pi greco

529620883_94a053e133_oFaticavo a trovare un senso a questa domenica, fino a quando ho scoperto che oggi è il giorno del Pi greco. Ebbene si, oggi 14 marzo (3.14, mica si fanno le cose per caso), in tutto il mondo, si festeggiano le mirabili opere del simpatico simbolo matematico. Visto che non ho di meglio da fare, e ciò dovrebbe farmi riflettere molto, mi sono chiesto il motivo per cui un onore di tale entità sia capitato proprio a Pi greco. Dal punto di vista fisico, diciamo che non c'è nulla che lo esalti particolarmente: il ricciolo in fondo ad una delle sue gambe, oltre a farlo apparire vintage, lo rende zoppo e instabile (da qui le 64 cifre decimali). In testa, invece, ha una frangia che lo avvicina al cantante dei Tokio Hotel. L'aspetto positivo è che l'88% delle persone che scrivono quotidianamente un Pi greco, preferiscono stilizzarlo a tre righe anonime, come se fosse il simbolo di un'area Camping. Quindi, cestinata l'ipotesi che la sua importanza sia dovuta all'aspetto estetico. Di sicuro avrà una sua utilità, se nelle nostre più o meno lunghe carriere scolastiche, ci siamo imbattuti più volte nella sua figura. In effetti mi è stato molto utile di recente, quando sono stato costretto a calcolare la circonferenza di una torta Sacher. Capite bene che, quando il prezzo di una torta aumenta all'aumentare della sua circonferenza, si inizia a diventare abbastanza precisi sulle misure e si capisce che gli anni, passati alle scuole medie, non erano poi così sprecati. Fatto sta che, davanti ad una lussuosa vetrina di una pasticceria storica viennese, mi sono messo a tirare giù conti astronomici, in cui Pi greco era sempre protagonista. Grazie ai miei rudimentali fondamenti geometrici, ho fatto un acquisto oculato (è poi un dettaglio il fatto di aver pagato la scatola della torta, più della torta stessa). Questo piccolo episodio deve far crescere nelle nostre coscienze la consapevolezza dell'importanza di Pi greco, nella vita di tutti i giorni, e quanto sia giustificato avere un giorno dedicato per celebrarlo.

domenica 21 febbraio 2010

Quando il Festival chiama..

Niente da fare, la manifestazione canora per eccellenza ha troppo fascino, per non richiamare orde di fan scatenati o semplicemente curiosi di lustrini e pailletes.

Naturalmente tra questi c’eravamo anche io e la mia baldanzosa compagnia, che ha scelto di visitare la kermesse Sanremese dopo un acceso televoto con il Bar della Stazione.

Arriviamo abbastanza carichi di buoni propositi in tarda serata,lasciando la macchina in un parcheggio a pagamento abusivo sotto l’Ariston, alla modica cifra di 8 euro/h.

Seguiamo lo sciame di folla che impazza per le strade, fino a giungere sul retro del Teatro, dove è di scena il più consistente viavai di Vips del calibro di Leone di Lernia e Klaus Davi.

Non ci nascondiamo dietro falsi perbenismi e dichiariamo l’obiettivo di serata: baciare in bocca Mara Maionchi.

Ed è così che ad ogni macchina coi vetri oscurati, cerchiamo di scorgere la sua folta permanente ramata, ma niente il massimo che vediamo è lo spoglio scalpo di Costanzo.

Il pubblico, dietro le transenne, è in costante fermento un po’ per le voci di chi sta per uscire dal cancello, un po’ per quelle che dichiarano vincitori fasulli della Manifestazione: ieri sera, per quanto riguarda la gente fuori dall’Ariston, per cinque minuti ha vinto Rita Levi Montalcini, tanto le voci erano disparate.

I minuti passavano veloci e la Mara nazionale non si vedeva; per questo, in barba a questo tourbillionne di emozioni, abbiamo deciso di finire la nostra serata sanremese in un locale fashion, degno del nostro calibro e del nostro abbigliamento mondano: il Mc Donald’s.

Ed è proprio qui che c’è stata la svolta della serata: mentre masticavamo amaro i nostri chicken nuggets (probabilmente l’amarezza era proprio insita al finto pollo dorato), fa il suo ingresso nel locale ‘nientepocodimenoche’ la quinta corista, del coro di riserva, della controfigura di Povia.

Naturalmente, avremmo saputo questa notizia solo la mattina seguente, dopo una ricerca di trequarti d’ora su Google.

Però il nostro intuito ci ha fatto ragionare così: siamo a Sanremo, in un locale internazionale, la ragazza è oggettivamente carina e i suoi capelli hanno troppa lacca per non essere salita sul palco dell’Ariston, quindi chiediamole una foto.

Fra qualche anno questo cimelio sanremese varrà molto, almeno un McBacon Menù.


 


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In trans agonistica dopo questo incontro, ci spingiamo addirittura nella Sala Stampa, intruffolandoci con dei badge, fabbricati in macchina con le nostre tessere del BlockBuster: entriamo nella fatidica Sala, quando un uomo ben vestito ci chiede:


 


- Avete l’accredito?


- Beh ovvio.. – mostrando i nostri pass, frutto di ore di lezione di Art Attack.


- Bene bene, anzi ottimo. Quella è l’uscita.


 


Un amico gioca la carta a sorpresa, per alimentare il caos, ma soprattutto per uscire a testa alta.


 


-          Scusi ma il reparto ‘Accessori da cucina’ da che parte si trova? Questa Ikea è veramente dispersiva.


 


Espulsi da Sanremo, come clandestini arrivati su un gommone, ma serata notevole, perché in fondo:

“Sanremo è Sanremo”.

domenica 14 febbraio 2010

Emilia-Romagna.zip

Non so se vi sia mai capitato di percorrere in macchina, per la sua completa estensione, l’Emilia Romagna. Se non si affronta questa esperienza con la necessaria attrezzatura e un auspicabile coraggio, l’impresa potrebbe risultare ai limiti di una Parigi-Dakar.

Posto il presupposto di appropinquarsi alla ‘Terra di Mezzo’ all’alba di una giornata invernale, la sonnolenza è già uno stato compreso nel pacchetto del viaggio. Per questo motivo, il mio codice della strada prevede una prima tappa-caffè, tanto da accumulare caffeina sul proprio groppone, come un cammello nel deserto. Tre chilometri dopo la sosta in autogrill, ti penti di non avere preso tre Redbull. Per chi non fosse pratico delle zone, è utile sapere che Piacenza e Bologna sono separate da 160 km di autostrada completamente diritta (mettere una chicane ogni tanto no eh, non chiedo il circuito di Montecarlo), come manco la route 66. Per non farsi mancare nulla, un simpatico tutor aleggia su questo percorso.

Ricapitolando, abbiamo una strada tendente all’infinito, un meteo plumbeo di stagione e una sonnolenza incombente.

Bisogna quindi escogitare stratagemmi per ottenere l’obiettivo minimo di giornata: la sopravvivenza

Come prima mossa, solitamente, inizio ad ascoltare il “Best Of di Francesco Guccini”, in modo tale da tenere alta la concentrazione per comprendere le parole, cariche della sua caratteristica erre moscia. Dopo circa 20 km di ascolto, abbandono il cd in una piazzola di sosta, dopo essermi garantito un gran mal di testa. Tra l’altro, il Ministero per i Beni e le attività Culturali, sta organizzando una campagna di sensibilizzazione contro l’abbandono dei cd di Guccini, in autostrada.

Verso Reggio Emilia, inizia una seconda fase di crisi, combattuta, questa volta, mettendosi 12 chewing-gum in bocca da masticare nervosamente e abbassando il finestrino, non tanto da fare entrare nebbia e nevischio in macchina.

In qualche modo ti trascini fino a Bologna, ma se devi spingerti oltre, verso i lidi romagnoli, l’impresa si fa dura e devi ricorrere alle armi pesanti.

Prendi il telefono ed inizi a chiamare, in ordine alfabetico, tutti i tuoi colleghi: ho scoperto che la conversazione telefonica è il mezzo più efficace per tenere attivo il proprio cervello, che altrimenti andrebbe in stand-by più che volentieri.

Capisco che sarebbe un po’ complicato esaudire la richiesta di comprimere l’Emilia-Romagna in un quadrato di terra di 50 kmq; la forma a stivale dell’Italia ne risentirebbe e, nonostante vogliano togliere la geografia dalle materie scolastiche, non mi sento di essere carnefice di tale affronto.

Sappiate, però, che la mia ricerca, nel trovare altre soluzioni per affrontare questi percorsi, continuerà;  se volete contribuire, accetto consigli e/o donazioni del vostro 7 per mille.

venerdì 29 gennaio 2010

Piantine

Preciso subito che non sto intraprendendo la carriera di coltivatore diretto di piantine di Marijuana, utilizzando come fonte di calore l’alimentatore della Wii e come sorgente luminosa le luci del presepe, che devo ancora smontare.

Per concetto di ‘Piantina’, intendo la mappa catastale di un appartamento. Il mio, per inciso.

Non ho mai avuto molta confidenza con assonometrie, misure, linee tratteggiate, rapidograph, squadre e righe. Bene, ho dovuto affrontare nuovamente questi demoni, nascosti dai tempi del liceo.

All’epoca, le ore di Disegno Tecnico erano per me le più tragiche: impugnate squadre e matita 4H, mi infilavo irrimediabilmente nelle sindrome di Edward Mani di Forbice, sentendomi a disagio; le mani diventavano presto due spugne, che potevano vivere di vita propria nei mari di Mars Alam. Le mie prospettive erano sempre accompagnate da una scala di grigi importante, con le mie impronte digitali che non mi abbandonavano mai, una sorta di firma. Vabbè quando portavo a casa un 4 era tutto di guadagnato; mi salvavo comunque con l’orale di storia dell’arte (era una materia unica col disegno), in cui fingevo commozione mentre descrivevo le opere di Fidia.

Ritornando all’attualità, ho sfornato una ventina di piantine ex novo, con scale diverse (Google Earth potrebbe ingaggiarmi), e su queste ho iniziato a girare mobili, spostare muri, disegnare animali domestici virtuali e alcuni bonsai.

Ho cercato di unire gli aspetti migliori di ogni idea partorita nella ‘piantina finale’ da sottoporre al muratore di fiducia. Ero abbastanza sicuro di aver fatto un buon lavoro, aldilà delle mie impronte sempre presenti, che occupavano almeno ¼ della metratura dell’appartamento (quasi quanto i bonsai).

Fisso così un incontro col muratore all’interno dell’appartamento e gli mostro il progetto orgogliosamente.

 

-         Non male, a parte che per realizzarlo bisogna tirare giù questa colonna ( la indica ‘picchettandola’ con le nocche delle dita).

-         Si si, lo avevo previsto.

-         E’ portante.

-         Ah, quindi è molto costoso.

-         Beh considerando che togliendola, dovrebbe trovare una nuova casa agli inquilini dei 4 piani che stanno sopra di lei, direi di si.

-         Butterò giù qualche altra idea và..

-         Basta che non butti giù altre colonne..

-         Me le può colorare in rosso?!

 

Il muratore prende un pennarello rosso ed inizia a colorare le colonne portanti. Non sulla piantina.

Penso non abbia preso bene la mia vena artistica o probabilmente la mia professoressa di Disegno del liceo non era così stronza come pensavo.

lunedì 18 gennaio 2010

La consapevolezza dei propri limiti

Ero bravino, una decina d'anni fa, nell'esercitare il giuoco del calcio. La convinzione di questa supposizione, non mi ha mai abbandonato, anche in questi lunghi anni di astinenza dai campi polverosi. Ieri c'è stato 'Il Ritorno', in grande stile, manco a dirlo. Ho scelto la serata ideale per una partita di pallone, -12°, vento gelido e candelotti di ghiaccio che pendevano dalle traverse, limitando la porzione di porta libera  a 10 cmq. Quello che non mi mancava era l'abbigliamento consono: maglia di flanella della Pro Patria '86, kway dell'Alpitour con cammello stilizzato sulla schiena, calzettone ascellare a ricoprire una calzamaglia da ballerina del Bolshoi. I miei gradi di libertà di movimento erano minori di quelli di un omino del calcetto. La prima sorpresa consiste nel fondo del terreno: il terriccio misto a pietre e fondi di bottiglia tipico degli anni '90 è stato sostituito da un meraviglioso manto sintetico, cancerogeno al 90%, ma non fermiamoci a questi dettagli! Comincio subito forte, tralasciando il dettaglio che l'ultima mia attività fisica di cui ho memoria è una partita a bowling quando c'era ancora l'euro. Dopo 5 minuti, sento iniziare un principio di autocombustione del polmone destro. Fingo indifferenza, nonostante il mio respiro sia affannoso tanto quanto quello di Galeazzi davanti ad una Amatriciana. In un lampo di lucidità provo una scucchiaiata da centrocampo, che finisce mestamente su un balcone del palazzo dietro la porta. La lucidità consisteva nel fatto che l'unico pallone a disposizione era ormai irrecuperabile, con notevole dispiacere dei 12 cadaveri in campo. Non contento, per festeggiare il mio ritorno all'attività agonistica, abbozzo una Capoeira (influenzata dall'ultima mia cena al ristorante brasiliano, poco caro tra l'altro), con conseguente distorsione alla caviglia, che ha ormai assunto la dimensione di un melone. Forse la prossima volta, se ci sarà, mi converrà tenere un profilo un filo più basso, ma poco eh..

sabato 9 gennaio 2010

Body Scanner

homerPer la serie, viviamo nell'era tecnologica, non ci facciamo mancare niente 'percaritàdiddio' (da leggere tutto d'un fiato), ecco voi: the Body Scanner.

No, purtroppo non è l'ultimo film di Bruce Willis, voci di corridoio lo danno alle prese con replicanti vari (altra grossa novità).

Insomma da quando un ragazzotto si è infilato, prima di salire su un aereo, un pò di tritolo nelle mutande, per mancanza di autostima, credo, mica per altro, si sono aperti scenari interessanti.

Tutto d'un tratto, i controlli ai check-in sono stati reputati facili da passare, come una legge sull'indulto qualsiasi.

E così ci si dovrà spogliare di ogni proprio bene, davanti al magico macchinario, e si sarà inoltre investiti da un'amorevole e salutare fascio di radiazioni ionizzanti, che permetteranno di visionare eventuali oggetti nascosti nel proprio midollo spinale.

Molto bello e sicuro per chi prende un aereo ogni dodici anni, per gli altri beh, che dire, Madame Curie docet.

Poi è ancora tutta da dimostrare la nocività di questa strumentazione; quindi deve ancora essere espletata la fase in cui, l'Azienda produttrice X pagherà l'Ente certificatore Y, per affermare che questa tecnologia non solo non nuoce alla salute dell'uomo, ma produce anche la ricrescita dei capelli e la secrezione di serotonina.

Consiglio, inoltre,  per chi volesse mantenere un minimo di intimità, l'acquisto di alcune paia di mutande di ghisa (3x9,90  euro, al mercato cittadino).

Se i maleintenzionati terroristi riuscissero mai a scavalcare anche questa ingegnosa innovazione, allora bisognerà dir loro : bravi!

Nel frattempo la stirpe umana si sarà già estinta, a causa di 'The Body Scanner", nei migliori cinema.

domenica 3 gennaio 2010

La teoria dei 'Gruppi di interesse'

"[...] Se sei talmente coraggioso da partecipare ad una vacanza con più di tre persone, sappi usare bene la 'teoria dei gruppi di interesse' [...]" (dal Vangelo apocrifo secondo S.Alpitour)



Non vi è testimonianza scritta di essere umani che, nell'intento di organizzare una vacanza per un numeroso gruppo di amici, non si siano messi le mani in faccia, per qualsivoglia futile motivo.

Sprezzante del pericolo e volenteroso di smentire questa leggenda metropolitana, ho organizzato un viaggio a Roma, nell'occasione del Capodanno, per 12 persone.

Dovevo capire che sarebbe stato un disastro già dal principio, quando una di queste, si lamentò per il prezzo dell'albergo: 40 denari/notte a 30 metri da S.Pietro, senza colazione. Eh, il 'senza colazione' ha fatto storcere il naso.

I problemi grossi, nel muovere numerose folle, consistono nel fare coesistere dodici teste pensanti (chi più, chi meno), le cui idee sono costantemente diverse.

E' proprio qui che viene utile conoscere a fondo la "teoria dei gruppi di interesse": ovvero dividere la massa in più gruppi a seconda di ciò che si vuole fare.

Vuoi andare ai musei Vaticani? Bene, gruppo museo Vaticani.

Vuoi andare a riempirti di arancini da Spizzico? Bene, gruppo Spizzico.

Vuoi andare al night alle 9 di mattino? Perfetto, gruppo Night (il più numeroso, ndr)

E' ovvio che poi ci sono le variabili impazzite, che minano anche questo solido teorema.

Per esempio, prendiamo X che vuole fare una determinata cosa, ma è l'unica (perchè gli altri sono tutti prenotati per il night). Allora X minaccia il gruppo di ogni sventura fino a che un diplomaticissimo Y non lo segue. Questi fenomeni sono ancora materia di studio dei ricercatori, i quali cercano di simulare ogni possibile sfumatura del comportamento umano 'in vacanza con altri'.

Un'altra difficile prova consiste nel ritrovarsi alla sera, in una delle camere assegnate, per fare due chiacchiere. Bene, se non ricordi il numero della camera e bussi ad una a caso alle 2 di notte, può capitare che ti apra un uomo alto due metri in mutande e ciò può turbare anche l'animo più sereno.

Comunque, in linea di massima, non siamo andati male, utilizzando questo 'barbatrucco'.

L'unico incoveniente è consistito nel fatto che, allo scoccare della Mezzanotte dell'ultimo giorno dell'anno, eravamo in 12 punti diversi di Roma (io sempre al night, ndr) e ho speso più soldi in sms di Auguri ai miei compagni di viaggio, che nel pagamento dell'albergo (senza colazione per giunta).

Se Darwin potesse vedermi, sarebbe fiero di me, ne sono certo.